Vis-à-vis oggi presenta una giovane artista romana, trovata con grande piacere curiosando tra le nuove proposte del Premio Celeste, Beatrice Alegiani. Protagoniste delle sue opere sono le irriverenti quanto ironiche e sorprendenti kokeshi dolls, bamboline in legno della tradizione giapponese, rielaborate e alle quali l’artista dà una vita propria, attraverso la forte caratterizzazione di ognuna di esse.
Seguite la nostra intervista per scoprire questa artista.
Chi è Beatrice Alegiani? Dove e quando è nata? E dove si trova ora?
Sono nata il 28 dicembre del 1972 a Roma, dove tuttora vivo e lavoro.
Qual’ è stata la tua formazione e come ti sei avvicinata all’arte in generale e al genere che pratichi in particolare?
Mia madre è sempre stata una grande appassionata di arte e sin da piccola mi portava in giro per mostre e musei. Mi sono laureata in Architettura, una facoltà che mi ha dato tanto ma che non corrispondeva in toto alle mie aspirazioni. Così nel 2005 ho bussato alla porta di un artista romano che stimavo molto, Danilo Bucchi, e sono stata sua assistente per diversi anni seguendo contemporaneamente corsi di pittura in Italia e all’estero.
Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Anche dettagli o situazioni apparentemente banali possono essere fonte di ispirazione. Anni fa studiando Adolf Loos mi colpì molto come lui si fosse ispirato alla griglia di un tombino per disegnare il ritmo delle bucature della facciata di un suo edificio. Non ho mai dimenticato questa sua attenzione per le piccole cose. Chi è che si ferma oggigiorno ad osservare un tombino???? Credo che l’arte nasca dall’attenzione, l’attenzione al particolare. “Osserva tutto quello che ti circonda con gli occhi curiosi di un bambino”, mi ripeto sempre. Quindi anche una passeggiata per negozi, vedere un film o un videoclip, sfogliare una rivista, possono far parte del mio lavoro. Ovviamente seguo con interesse anche il percorso di artisti, non solo pittori, sia del presente che del passato.
Quali sensazioni vuoi comunicare attraverso le tue opere?
Mi piace riflettere giocando. Vorrei quindi che anche le mie bambole facessero sorridere, divertire, e poi però anche pensare. Si può parlare di cose serie senza essere pesanti. E usare un po’d’ironia in certi casi è di grande aiuto. E’ come quando spieghi un concetto importante ad un bambino e lo fai con parole semplici. A me le cose rimangono molto di più dentro se recepite in questo modo.
Descrivi il tuo lavoro.
Dipingo ad olio. Il mio profondo legame con l’oriente sviluppatosi attraverso studi e viaggi mi ha portata, da un anno a questa parte, a dipingere bambole kokeshi, le tipiche bambole giapponesi prive di arti, con il corpo cilindrico e la testa a sfera. Le animo dando loro volti occidentali; alcune sono autoritratti, altre hanno il volto di amiche e conoscenti. E così facendo le personalizzo, dono loro un’identità, le rendo diverse l’una dall’altra sottraendole all’anonimato dell’oggetto seriale. Sono bambole graziose, tenere, fanciullesche, maliziose ma allo stesso tempo vulnerabili. Le colloco volutamente su sfondo bianco, poste fuori da ogni contesto, proprio per voler esasperare quel vuoto in cui vive oggi l’identità della persona. Nei lavori più recenti ho sentito il bisogno di rendere ancora più evidente questa umanizzazione inserendo anche le braccia, come a voler suggerire delle possibili azioni. Quest’aspetto è una sorta di rivisitazione di quegli elementi realistici che erano propri dei miei primi lavori.
Quanto tempo impieghi per progettare e realizzare un’opera?
Nel dipingere, e quindi nella realizzazione pratica del quadro, sono abbastanza veloce, considerando anche i tempi lunghi della pittura ad olio. E’ nell’elaborazione dell’idea invece che impiego più tempo. Passo giornate intere a fare ricerche iconografiche su internet, o a sfogliare riviste o in giro per passeggiate ri-creative. Poi abbandono il tutto per un po’ dedicandomi completamente ad altro. Passato qualche giorno ritorno sulle mie elaborazioni ed ecco che l’idea nasce. All’inizio facevo fatica a convivere con questo mio lungo periodo di incubazione dell’idea perché avevo la sensazione come di perdere tempo. Ora so invece che questo tempo è parte integrante del mio processo creativo e ho imparato a viverlo più serenamente.
Cosa ha suscitato il tuo interesse verso il mondo delle bambole?
Come tutte le bambine adoravo le bambole. Ne avevo di diversi tipi e di diverse etnie. Poi crescendo ho continuato ad ammirarle, sia per la loro bellezza che per quel senso di inquietudine che mi danno, per il loro essere a metà tra l’essere umano e l’oggetto seriale. Credo che riflettano lo spirito della loro epoca e dunque siano utile strumento di conoscenza.
Spesso è stato associato il concetto di bellezza alle bambole con una accezione negativa…le tue, però, risultano prive di impersonalità seriale tipica di un prodotto commerciale e, con un pizzico di ironia, sembrano ribellarsi ai comuni standard…c’è un messaggio particolare che vuoi trasmettere?
Come ho già detto il messaggio è proprio questo. Oggi più che mai, minacciati come siamo da una massificazione che tende a neutralizzare la nostra soggettività, è diventata di fondamentale importanza la ricerca della propria identità.
Ritieni che sia dato sufficiente spazio agli artisti nei canali istituzionali? Come ritieni che si possano superare i limiti dall’arte ufficiale?
Ho la sensazione che di spazio nei canali istituzionali per i giovani artisti ce ne sia molto poco, quanto meno in Italia. Malgrado ciò penso ci siano comunque molte più possibilità rispetto al passato per chi vuole proporre i propri lavori e farsi notare. Uno strumento come internet è oggi essenziale per raggiungere quante più persone possano essere interessate al lavoro di un artista. L’arte oggi non è più confinata rigidamente all’interno di gallerie o musei, ma si dilata trovando canali complementari. Alcuni degli eventi artistici più emozionanti a cui ho assistito recentemente hanno avuto luogo in spazi inusuali quali zone di passaggio e aree urbane periferiche.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
A breve una mia personale alla GFVart Gallery di Valenza, la galleria che sta seguendo attualmente i miei lavori. E poi un viaggio in Cina e Giappone per continuare a seguire le nuove realtà artistiche asiatiche che stanno diventando sempre più protagoniste nel mondo dell’arte.
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