Benedetta Falugi è toscana e, come si può immaginare vedendo le sue fotografie, ha con il mare un rapporto particolare. Giunta alla fotografia partendo dall’antiquariato, utilizza quasi esclusivamente macchine analogiche, traendo ispirazione dalla realtà e scattando fotografie che sembrano immortalare situazioni senza tempo, come la quotidianità colta nel progetto in corso di realizzazione in due quartieri operai del comune di Piombino.
Chi è Benedetta Falugi? Dove e quando è nata? E dove si trova ora?
Sono una fotografa, nata a Piombino il 26 ottobre 1973, adesso abito a Follonica, provincia di Grosseto, un bel posto sul mare dove sono cresciuta e ho abitato fino ai 18 anni, dai 18 ai 30 ho girovagato per la Toscana e adesso sono tornata “a casa” dove vivo davvero bene.
Qual è stata la tua formazione e come ti sei avvicinata alla fotografia?
Diplomata all’istituto magistrale, ho cominciato gli studi di lingue, li ho interrotti per dedicarmi al restaturo della doratura, alla cartapesta e alla pittura. Ho lavorato nel negozio d’antiquariato di mia mamma per diversi anni e alla fine ho avuto un incontro, fulminante, con la fotografia, soltanto tre anni fa. Un giorno ho comprato una piccola macchina per fotografare dei mobili e da lì è partito tutto. In seguito ho fatto vari corsi e workshops, l’ultimo, un corso di fotogiornalismo all’Istituto Marangoni di Firenze, davvero molto interessante.
Quali sono le tue fonti di ispirazione? Chi i tuoi maestri?
Le mie fonti di ispirazioni sono moltissime e varie, dalla musica, al cinema, alla natura stessa e ovviamente il lavoro di molti altri fotografi. Mi piacciono le foto di nuovi giovani talenti che trovo su Flickr, foto fresche, con uno stile simile ad un diario di quotidiana vita vissuta… Pensando ai grandi, per primi mi vengono in mente Diane Arbus, Nan Goldin, Alec Soth, William Eggelstone, Martin Parr e poi moltissimi altri, magari meno conosciuti ma di un talento straordinario.
Quali sensazioni vuoi comunicare attraverso le tue fotografie?
Emozione, qualsiasi essa sia.
Descrivi il tuo lavoro, le macchine che usi, come nasce una delle tue fotografie.
Scatto quasi esclusivamente in analogico, le macchine che uso sono varie, da una vecchia Lomo lc-a, mezza scassata ma che mi regala sorprendenti infiltrazioni di luce, a qualche compatta di qualità come la Contax t2, poi una reflex con vari obiettivi e qualcosa per il medio formato…Niente di eccezionale, adesso infatti sto per rinnovare un po’ l’armamentario. Le mie foto nascono dall’istintività e dall’emozione del momento e non potrebbe essere diversamente visto il mio carattere. Raramente programmo prima i mei scatti. Anche nel lavoro assegnato, c’è un minimo di programmazione ma poi cerco di lasciarmi andare e “perdermi”, è solo così che posso riuscire ad ottenere qualcosa di buono.
Quanto tempo passa tra l’ideazione e la realizzazione di un tuo scatto? Preferisci ragionare per serie fotografiche o per singole immagini?
Come dicevo prima, a volte devo per forza ideare prima qualche scatto ma in genere è un piano abbstanza labile, un’idea precisa che guida un lavoro che sarà sconosciuto anche a me finchè non è finito. Poca programmazione quindi, sia per gli scatti singoli che le serie.
L’acqua e soprattutto il “sott’acqua” del mare sono una presenza consistente nelle tue foto, come mai? Cosa rappresentano per te?
Sicuramente l’abitare a poche centinaia di metri dal mare mi ha aiutato a sviluppare questo rapporto speciale che ho, in effetti, con il mare e l’acqua che mi affascina e mi attrae sia come elemento che come simbolo dell’animo umano, irrequieta, senza inizio e senza fine. Fin da piccola non ne ho mai avuto timore ma anzi, ho sempre provato un grande benessere al suo contatto. Ne amo la sensazione di isolamento dal resto del mondo fuori e insieme di grande comunione con uno nuovo, un mondo dove i sensi sono attutiti ma si fa più intensa la percezione di se stessi, delle proprie emozioni. A volte sento una vera e propria esigenza di tuffarmi in mare quasi fosse una liberazione…
Ritieni che sia dato sufficiente spazio agli artisti nei canali istituzionali? Come ritieni che si possano superare i limiti dell’arte ufficiale?
L’arte ufficiale si è guadagnata un posto e un rispetto affermandosi nei secoli ma tutto ciò che è nuovo ed originale fa fatica a trovare spazio nella società odierna, tesa ad un materialismo massificante e manipolatorio. Penso che si possano superare i limiti che l’arte ufficiale impone solo permettendo al nuovo di manifestrarsi il più possibile e ovunque, anche e soprattutto al di fuori dei luoghi istituzionali. Il bello e l’armonia dovrebbero informare l’ambiente che ci circonda così che sia la mente che lo spirito di tutti noi possano trarne vantaggio.
Quali sono i tuoi prossimi impegni e progetti? So che ne hai uno in cantiere, raccontacelo.
Il mio ultimo progetto riguarda un reportage che sto portando avanti su due quartieri operai di Piombino, Cotone e Poggetto, sobborghi di una grande industria metallurgica in cui si sono incarnati i valori simbolo dell’identità operaia di un’intera classe lavoratrice. Sono molto legata a questi luoghi sia perchè i miei nonni e mio papà vengono da lì e da piccola ho frequentato molto spesso questi posti, sia perchè attratta dall’indagine su luoghi e persone ancora permeati da valori di solidarietà, comportamenti collettivi e individuali quasi ancora di altri tempi. Contemporaneamente vorrei testimoniare gli inevitabili cambiamenti sia urbanistici che del tessuto sociale come la sempre più evidente presenza di immigrati, soprattutto di colore, che lavorano e risiedono in questo quartiere. Altro progetto in corso, una collaborazione con una ditta di abbigliamento, alcune mie foto sono state scelte per farne delle fodere di una nuova linea di capi spalla. Qualcos’altro è in cantiere ma non ne parlo per scaramanzia.
Tag: Benedetta Falugi
Ah che brava Benedetta Falugi, si si ci piace ^_^
Benedetta e’ brava e spontanea al ciento pe’ ciento… e lo ritrovo in quello che dice…e soprattutto nelle sue foto!…un pochino…ino la conosco…boia de’!