Silvia Noferi è toscana ed è la vincitrice della sezione Fotografia e Grafica Digitale dell’edizione 2009 del Premio Celeste con una delle immagini della serie Hòtel Rèverie, un lavoro ispirato alle teorie di Gaston Bachelard sul tema della rèverie, termine che letteralmente vuol dire “fantasticheria”.
Attesa, inquietudine, surrealtà sono alcune delle sensazioni presenti in queste fotografie, scattate nelle stanze di un albergo in ristrutturazione alle porte di Firenze, che si fanno scenari dell’incontro tra realtà e immaginazione. Nella produzione di Silvia Noferi non mancano poi gli autoritratti, simili a presenze fantasmatiche.
Chi è Silvia Noferi? Dove e quando è nata? E dove vive ora?
Sono una a cui una vita non basta, per il resto credo che siano sempre gli altri, gli unici a poterci raccontare chi siamo. Sono nata a firenze nel 1977, dove tutt’ora vivo.
Qual è stata la tua formazione e come ti sei avvicinata alla fotografia?
Mi feci regalare la prima reflex in occasione della mia comunione. Fotografavo i miei amici e le cose da ricordare. L’illuminazione arrivò quando vidi una mostra di Nan Goldin ad Amsterdam: da lì cominciai a cercare tutte le possibilità d’imparare. La prima esperienza è stata con la chimica della camera oscura in un piccolo studio, poi è arrivata un’esperienza importante come assistente durata diversi anni, nei quali ho imparato molto, soprattutto a livello tecnico. Nel frattempo cresceva il bisogno di studiare e approfondire la parte teorica, la storia dell’arte e tutte quelle conoscenze che potevano stimolarmi, così ho deciso di frequentare una scuola di fotografia e iniziare una mia ricerca personale.
Quali sono le tue fonti di ispirazione? Chi i tuoi maestri?
Direi che la poesia è una fonte d’ispirazione primaria per me. Le parole mi evocano immediatamente delle immagini, così come i vecchi oggetti, ma può capitarmi di trovarla ovunque, nei libri che leggo, parlando con un amico, guardando un film..in ogni caso quando arriva senti qualcosa che risuona e devi metterti in moto.
Direi Nan Goldin perchè ho veramente questo ricordo vivo legato a lei, ma anche Diane Arbus, Luigi Ontani, Francesca Woodman, Sophie Calle..
Quali sensazioni vuoi comunicare attraverso le tue opere?
Ognuno dei miei lavori nasce dalla necessità di comunicare e condividere qualcosa, Non credo di avere un messaggio preciso e costante, ho sicuramente dei temi cari: come la memoria, l’identità, il sogno, l’infanzia, ma ogni progetto nasce da una spinta diversa. In ogni serie cerco di raccontare una storia, poi capita che, come in Hòtel Rèverie, la storia che volevo raccontare sia stata solo il pretesto per mettere in moto tutto, la cosa bella è vedere che poi le storie sono molte, per ognuno diverse.
Descrivi il tuo lavoro. Che macchina fotografica usi? Sei per il digitale o per l’analogico?
Il mio lavoro è fatto di molti pensieri e attese, questa di solito é la lunga fase in cui elaboro un’ idea. Dal momento in cui credo di avere raggiunto un’intuizione valida, inizio a cercare tutto ciò che è necessario per realizzarla. Luoghi persone, atmosfera. Per l’ultimo lavoro ho utilizzato una rolleiflex, una macchina che adoro, anche se ultimamente ho voglia di sperimentare nuove soluzioni. Recentemente ho acquistato una 6×8 che spero di utilizzare presto. Sono ancora legata all’analogico, anche perchè lavoro con macchine dal medio formato in su.
Hòtel Rèverie è la tua serie più corposa, quanto ci hai messo a realizzarla?
Nel complesso il progetto mi ha occupata per circa sei mesi, dall’ideazione alla realizzazione.
Ancora a proposito di Hòtel Rèverie, leggo che questo lavoro trae ispirazione da un saggio del 1960 scritto da Gaston Bachelard e intitolato “La poetica della rèverie”. Nel testo critico che ha accompagnato la tua mostra del 2008 alla galleria DAC di Genova, Valeria De Simoni ha scritto: “Il termine francese rèverie viene generalmente tradotto in italiano con le parole fantasticheria, sogno. Per il filosofo francese la rêverie rappresenta quel fenomeno della veglia in cui l’Io fugge dal reale vagando libero da qualsiasi influenza contingente”. A questo senso di libertà, corrisponde nei tuoi scatti un’atmosfera surreale ma anche algida e precaria, i tuoi personaggi sono individui in preda allo smarrimento, alcuni compiono gesti incomprensibili. Anche l’ambientazione, fatta di stanze dai rivestimenti ricchi ma disfatti e prossimi alla distruzione, alimenta questo senso inquieto di solitudine e attesa. Quale riflessione sta dietro a questo contrasto?
Mentre lavoravo al progetto mi sono accorta che questo senso di precarietà era necessario per far sì che scaturisse la fantasia. Era importante che gli spettatori potessero entrare nell’atmosfera del progetto, potendo fantasticare a loro piacimento sulle storie e le situazioni dei personaggi. Per questo non ho voluto dare indicazioni precise. La stanza vuota e decadente seppur ricca, enfatizzava per me il senso di abbandono e lasciava lo spazio libero, come un contenitore vuoto da riempire. D’altra parte quando la mente si libera in una stanza vuota, non si sa dove ci porta e le Revèrie hanno il senso precario di qualcosa che dura poco perché saremo comunque richiamati alla realtà del nostro mondo. In un certo senso sono persone catturate in un attimo sospeso della loro storia imprecisata, una storia che sfugge anche a me, nella quale l’immobilità è l’origine di ogni possibile movimento.
Dedichi parte della tua ricerca all’autoritratto. In queste immagini la tua figura è evanescente, quasi pronta a scomparire. Come mai?
Mettermi al centro dei miei lavori è stato per me un passo importante. Sono scatti autobiografici, per un lungo periodo ho avuto difficoltà nel sentirmi davvero interamente nelle situazioni, volevo catturare questo senso di non appartenenza, di smarrimento, di nostalgia e dell’impossibilità di tornare indietro nel tempo.
Ritieni che sia dato sufficiente spazio agli artisti nei canali istituzionali? Come pensi che si possano superare i limiti dell’arte ufficiale?
Per quanto riguarda gli spazi istituzionali, trovo che siano poco accessibili ai giovani artisti e penso che come tutti I sistemi anche quello dell’arte abbia dei limiti, e un suo particolare circuito. Ancora non ne conosco bene I meccanismi, in quanto sto muovendo I primi passi al suo interno, credo e spero che avrò modo di capirli meglio. Per il momento sono molto più concentrata nel dedicarmi alla mia evoluzione come artista.
Quali sono i tuoi prossimi impegni e progetti artistici?
Sono nella fase dell’attesa e dei pensieri per un nuovo progetto, esporrò dal 13 maggio alla FSM gallery di Firenze* e sarò a fine mese alla fiera d’arte contemporanea di Roma con la galleria DAC.
*La mostra in questione si intitola “Tempi osceni” e sarà visitabile fino al 18 giugno.
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