2 aprile 2009 0

Vis-à-vis #7: Jonathan Luckhurst

pubblicato da Sara in Artisti, Fotografia

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Ventinove anni, diversi premi e pubblicazioni all’attivo. E’ Jonathan Luckhurst, sensibile fotografo canadese, autore di scatti che conservano l’essenza della realtà attraverso il rifiuto della pianificazione. Una tecnica tradizionale, quella della camera oscura, unita alla scelta del bianco e nero, che insieme rendono evocativa ogni scena, sfumando i contorni e catturando emozioni. A ciò si aggiunge il rifiuto della fotomanipolazione digitale e il ritocco del negativo  volto a produrre effetti astratti e pittorici, estremamente poetici.

La serie “Beyond the Silhouette”, scomoda riflessioni filosofiche inerenti alla ricerca del sé. I soggetti sono profili umani indefiniti e collocati in ambientazioni e contesti altrettanto incerti. Il tutto sembra evaporare e dissolversi, emulando i sentieri del pensiero che si disperdono rivelando, spesso, la propria inconcludenza. Dopo il salto il resto dell’intervista e le altre immagini.

Qual è stata la tua formazione e come ti sei avvicinato alla fotografia?
Ho una laurea scientifica in genetica e non mi sono accostato alla fotografia fino alla laurea, sette anni fa. Tutte le mie doti in fatto di fotografia le ho sviluppate da autodidatta; riconosco il valore degli istituti d’arte ma ho deciso di imparare da solo andando fuori e scattando semplicemente, nel mondo reale. Ho anche letto molto e ho studiato l’opera di fotografi il cui lavoro ammiro particolarmente. L’ho DAVVERO studiata.. Mi sono chiesto che cosa mi piacesse e cosa no. Credo sia importante assumere questa prospettiva oggettiva anche nel proprio lavoro, analizzarlo e capire cosa stai facendo di giusto e di sbagliato.

Quali sono le tue fonti di ispirazione?
Mi ha coinvolto l’opera dei fotografi degli inizi del ‘900, i pittorialisti. Amo il modo in cui erano capaci di usare l’astrazione nel loro lavoro e creare un’opera d’arte, non solo una foto documentaria. Per me l’astrazione è un’elemento fondamentale del mio lavoro. Per questa ragione, sono attratto da qualunque fotografo il cui lavoro impieghi l’astrazione. Gli esempi includono Susan Burnstine, Rocky Shenck e James Whitlow Delano.

Come scegli i tuoi soggetti?
Come dice il detto, sono i miei soggetti a scegliere me. Durante i miei primi viaggi in India, non avevo direzioni. Non avevo esperienza e non avevo idea di cosa fosse ciò che stavo per fotografare. Dopo un po’ di tempo, scorrendo i miei negativi, ce ne erano uno o due che sono letteralmente saltati fuori. Mi piacque davvero ciò che avevo fatto e iniziai a fotografare in quel modo particolare. Dunque questo è il modo in cui spesso lavoro. Aspetto che qualcosa mi ispiri in modo fortunato e poi lavoro su quello.

Quali sensazioni vuoi comunicare attraverso il tuo lavoro?
Per qualunque fotografo, o artista, credo che lo scopo sia comunicare le tue emozioni. Per me è la stessa cosa. Io sono fuori, nel mondo, provo delle cose e ci sono dei momenti che trovo meravigliosi. Il viaggio mi ha assolutamente ispirato. Il viaggio ti apre la mente e una delle cose più importanti che ho imparato è quanto siamo in modo ridicolo tutti simili! All’inizio la cultura sembra essere una grande barriera, ma una volta che l’hai grattata via, noi tutti siamo persone. Quindi penso che questa sia la cosa più importante che mi piacerebbe comunicare nel mio lavoro. Certo, io viaggio per fotografare, ma non voglio che il nome di un luogo sia il centro del mio lavoro. Voglio che le mie immagini comunichino qualcosa di più ampio, fino al punto che non conta più dove siano state scattate.

Analogico contro digitale. Qual è il tuo punto di visto? Puoi descrivere il tuo lavoro, le tecniche e le macchine fotografiche che usi?
Credo che il digitale serva ad uno scopo, ma secondo me manipolare le immagini digitalmente confonde la linea tra la fotografia e l’arte digitale. Non c’è niente di male nella manipolazione digitale, ma probabilmente dovremmo pensare a questo lavoro in termini diversi. Non puoi chiamare dipinto una stampa analogica, così come non puoi chiamare fotografia una stampa digitale ritoccata. È arte digitale. Per quanto riguarda me, io lavoro puramente con la pellicola e con il processo tradizionale della camera oscura. Nessuna delle mie immagini è migliorata digitalmente. Mi piace lavorare nell’ambiente umido della camera oscura e la qualità di una stampa alla gelatina d’argento non è superata da nessun altro risultato. Principalmente fotografo con macchine di medio formato. Ho anche realizzato una piccola quantità di lavori con vecchie macchine degli anni ‘50, con risultati interessanti.

Scatti solo fotografie in bianco e nero. Puoi spiegarmi perchè?
Penso che per i miei soggetti il bianco e nero funzioni meglio. Mi piace creare un’atmosfera davvero senza tempo e molti dei luoghi in cui ho viaggiato sono senza tempo. Quindi credo che funzioni.

Quanto tempo impieghi a pensare e realizzare un’opera?
Ho fotografato per sette anni, e ho finalmente concepito un corpus di opere circa un anno fa! Sono ancora nella fase della sua piena realizzazione, ma credo di essere vicino. Penso di avere ancora delle strade da percorrere in termini di maturazione, ci sono sempre modi per migliorare.

Credi che ai giovani artisti sia dato spazio sufficiente nei canali istituzionali? In che modo pensi che i limiti dell’arte ufficiale possano essere superati?
Non credo di poter commentare a sufficienza questo argomento dal momento che non ho mai frequentato un istituto d’arte. Comunque posso dire che, se un istituto d’arte ha i suoi meriti, credo ci sia anche il rischio che gli studenti siano incanalati nel ragionare in una certa maniera. C’è più libertà quando vieni lasciato con i tuoi strumenti. Segui solo il tuo cuore e non c’è nessuno che ti dica che hai bisogno di cambiare questo o quello. Alla fine, l’arte viene in ogni modo da te. È un’espressione personale che non può essere insegnata nelle istituzioni.

Mi piace molto la serie “Beyond the Silhouette” e la sua atmosfera quasi spettrale. Quali sono i tuoi prossimi progetti?
La maggior parte del lavoro per la serie “Beyond the Silhouette” è stato realizzato in India. L’India è un posto molto spirituale, quindi sembrava naturale provare a tirar fuori un’atmosfera eterea o spettrale, come dici tu. Ho iniziato a lavorare su una nuova serie che sarà intitolata “Bird’s eye”. Questo lavoro sarà incentrato intorno a delle figure poste a distanza nella profondità di una foresta. Vediamo cosa succederà. Per ora è un’idea e ho un po’ di scatti che mi hanno ispirato. Ma, come puoi vedere già da alcuni dei miei lavori, mi piace rimuovere me stesso dallo spazio immediato del mio soggetto. Non sono un fotografo “aggressivo”.

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